Il Mio Albero
di Carmelo Modica
I fili della memoria si riannodano attraverso il contatto con la natura, ricordandoci che il tempo è un lungo laccio che ci tiene saldi all’origine ma forse anche prigionieri. Allora, forse, solo un “albero” può tenerci radicati ma comunque liberi.
Sugli orti cangianti
Stoppie e restucce
Annodano trame
Che fecero gli anni.
Tendono alla memoria
Le margherite scovandone
Le maglie e i denti di leone
Aspergono sui resti
Di cose lontane.
Cuscini di zinnie
S’affollano ai giorni
Senza danze
E sui vapori impietriti
Della mente
Una siepe di bosso infittisce
E ne storna
Del tempo cornute insolenze.
Chi più crudele, ti chiesi,
La natura impertinente
O del tempo il lungo laccio?
E se lì dove le ciache
Hanno deposto polveri
Agostane
E sui fragili tetti della vecchia gioventù
Un timido fiore di cappero
Alza piccole antenne
Porporate
E l’odore dei campi
S’affigge al vento
Che misero
Distrugge
Tu decidessi d’esser mio albero
Potrei finalmente radicare
E sentire con l’umore della terra
Un lacrimìo
Che invela di petricore:
S’insinuerebbe solatìo
Un silente innominato lucore.
(diritti riservati)